domenica 4 settembre 2016

Ponzio Pilato, la vittima più famosa della politica?

Ponzio Pilato riceve Gesù,
da un dipinto di Duccio di Buoninsegna
Ponzio Pilato, la vittima più famosa della politica? Pilato, procuratore della Giudea (26-36 d.C.) al tempo del processo e della morte di Gesù è indiscutibilmente il magistrato romano più famoso. Cavaliere romano, di origine probabilmente sannitica ebbe in sorte il governo di una provincia – anche allora – difficilissima. I suoi sudditi non fecero praticamente niente per agevolargli il compito, ed egli, da parte sua, approfittò di tutte le occasioni per manifestare, anche in modo brutale, il suo disprezzo per i Giudei. Coinvolto suo malgrado nel processo di Gesù, i suoi interventi e la sua sentenza sono giudicati nei modi più vari. Certo, le pagine evangeliche che riferiscono i suoi colloqui con la folla urlante, con i Sinedriti astuti e tenaci, con Gesù, che dopo aver taciuto dinanzi a Erode si adatta volentieri a rispondere alle domande di Ponzio Pilato, rendono plasticamente il progressivo e rapido precipitare di una situazione che lo stesso Pilato pensava di tenere in pugno.

Egli è convintissimo dell'innocenza di Gesù; sa che i Sinedriti lo hanno  consegnato a lui per gelosia; egli è arbitro della sorte dell'accusato ma vede con dispetto stringersi intorno a lui la rete dei capi di Israele che gli impediranno di pronunciare una sentenza di assoluzione. Generalmente si è molto severi con Pilato, con il suo arrivismo. Lo si accusa di aver avvilito e tradito la giustizia di Roma, di aver gettato il fango sulla nobile figura del magistrato romano, cedendo alle intimazioni di una folla aizzata.
Il dovere di Pilato sarebbe stato di resistere a ogni costo e imporre il suo giudizio favorevole a Gesù. Non lo fece  perché temeva di compromettere la sua carriera dopo che i Giudei gli gridarono "di non essere amico di Cesare" perché difendeva Gesù che essi gli avevano presentato come un sobillatore.
Il Pascoli diede corpo all'"ombra di colui – che fece per viltade il gran rifiuto" identificandola con Pilato. Qualcun altro ha tentato un'apologia di Pilato distinguendo la sua posizione giuridica di "praetor" dalla posizione politica di governatore di provincia. La sua qualità giuridica ne esce piuttosto male in quanto il processo di Gesù mancò di un elemento giudiziario importante: l'escussione dei testi, ma forse Ponzio Pilato, dopo aver ascoltato Gesù, giudicò che non c'era luogo a procedere e quindi era inutile esaminare le testimonianze.

In realtà, Ponzio Pilato fu vittima della sua funzione politica, in quanto, come governatore di un paese soggetto del quale l'autorità centrale rispettava la fede e gli ordinamenti religiosi, era tenuto a dare il massimo peso al giudizio del Sinedrio, tribunale specializzato e riconosciuto. Finché hanno accusato Gesù di pretesi crimini che ledevano la maestà dell'Imperatore, Pilato ha facilmente sventato il piano dei Sinedriti, ma quando l'hanno messo di fronte a un'accusa squisitamente religiosa affermando che Gesù, dicendosi figlio di Dio, aveva gravemente violato la legge ebraica, Pilato deve dichiarare la sua incompetenza e accettare il giudizio del Sinedrio ordinando, in virtù dei suoi propri poteri esclusivi, la esecuzione capitale.

Il gesto che egli compì lavandosi le mani stava appunto a significare che la responsabilità della condanna non ricadeva su Roma, ma su Israele che aveva pronunciato un giudizio assolutamente "tecnico". L'accusa a Ponzio Pilato di non essere "amico di Cesare" poteva appunto significare che, non rispettando la decisione del sinedrio, Pilato violava la norma fondamentale dell'autorità centrale romana di rispettare la legge religiosa dei popoli soggetti. Certo, un Pilato che odia gli ebrei e che difende con ogni mezzo Gesù, il quale ai suoi occhi era in fondo uno della razza disprezzata; lo scettico – "ma che cos'è la verità?" – che si ostina a difendere un agitatore religioso, lascia molto pensare.
L'irritazione e il rancore con il quale Pilato risponde alla richiesta del sinedrio di modificare il cartiglio della condanna – "quel che ho scritto, ho scritto" – e la sgarbata risposta alla richiesta di porre le guardie al sepolcro dicono abbastanza fino a che punto Ponzio Pilato è certo di essere stato giocato dagli ebrei. La leggenda si è impadronita di Pilato e ha ricamato sulla sua fine, che si perde nell'ombra da quando Tiberio lo chiamò a Roma per render conto di una ennesima violenza contro i suoi sudditi. Chi lo disse suicida e chi ne fece un martire, e la contraddittorietà di questo estremo giudizio sembra continuare la perplessità che ancora ci coglie di fronte al famoso procuratore di Roma. Egli è assurto a simbolo di viltà, ma forse soprattutto la vittima più illustre della politica.

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