Jacques il fatalista e il suo padrone |
Denis Diderot, 1767, ritratto da Louis-Michel van Loo |
Un po' Sancho e un po' Figaro, un po' Arlecchino e un po' Sganarello (personaggio comico di Molière), il servo Jacques di Diderot è un popolano dal fresco sentire e dallo sguardo sincero nel cui personaggio il Settecento spezzò più di una lancia per l'idea rivoluzionaria. Jacques il fatalista è un bonario panteista al quale appare "priva di senso la distinzione di un mondo fisico e di un mondo morale". Lui inventa l'universo in una versione semplice dove si possono reperire i motivi che ne costituiranno più tardi, fino a oggi, l'essenza unitaria, variata e resa più colorita dalle infinite reazioni umane.
Prima del Romanticismo e delle sue tempeste, prima di ogni moto coscientemente psicologico Jacques guarda la vita come "un gran nastro che si svolge poco a poco", in un ritmo calmo e, per così dire, naturale al quale non cercherà mai di opporsi. Pur tuttavia non va confuso con il semplicismo la sua perspicace lucidità di visione: è là che trovano risposte le 1000 e ancora 1000 domande di cui è fatto il personaggio del fatalista. Le domande possono essere sfumature – leggeri dubbi che contengono abissi di profondità – alle quali lui risponde con aforismi o paradossi. Ed è poi in una risata che Jacques acconsente, forse perché l'amaro non si senta nella sua voce. L'amaro della pura ragione? Jacques vive il senso profondo di un'esperienza compiuta – la storia del fatalista e l'ultima scritta dal vecchio Diderot – che arricchisce enormemente l'intera vita di un uomo, fatta di contrasti ed intimissimi dubbi proprio nel secolo che aveva voluto credere alla pura ragione.
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