Francesco Tadini, fondatore di Spazio Tadini. Arte, selezioni di artisti contemporanei, guida virtuale alle mostre in gallerie a Milano, italiane e straniere, recensioni, archivio Emilio Tadini
martedì 26 gennaio 2016
martedì 19 gennaio 2016
Tadini: l'artista visto da Maurizio Fagiolo dell'Arco - mostra Studio Marconi 1966
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Tadini - Il pittore del parto e le donne fecondanti, Trittico |
domenica 10 gennaio 2016
Gianfranco Pardi visto da Guido Ballo nel 1983 - artisti e mostre a Milano e a Spazio Tadini
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Gianfranco Pardi, Architettura, 1973 |
Sono state "formate" coppie di artisti che hanno dialogato fertilmente e a lungo, nella loro vita, d'arte e dintorni. Un'opera di Mino Ceretti è stata messa vicino a un piccolo gruppo di opere di Gianfranco Pardi (Milano 1933 - 2012). Tadini, Ceretti, Cavaliere, Enrico Baj e Gianfranco Pardi facevano parte, tra gli altri, di un gruppo nutrito di grandi amici - l'unico dei quali ancora vivo è Ceretti - che si frequentavano quasi quotidianamente. E, con loro, grandi critici d'arte e scrittori, giornalisti e fotografi (uno a caso? Ugo Mulas), attori e musicisti ... che credevano nella vita come forma d'arte, prima ancora che nell'arte come modo di vivere.
Uno di loro era Guido Ballo (Adrano, 12 aprile 1914 – Milano, 26 luglio 2010) scrittore e grandissimo critico d'arte. Ballo ha dedicato pagine memorabili a una moltitudine di grandi artisti. Il testo che segue riguarda Gianfranco Pardi. E' del 1983 e si intitola: "Gianfranco Pardi, oltre l'apparenza".
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Grandi artisti italiani - Gianfranco Pardi, Architettura, 1973 |
A un primo sguardo infatti tutto sembra razionale struttura, estrema conseguenza del costruttivismo storico, sorto in Russia prima del '14 con Tatlin, Rodchenko e gli altri del gruppo, in contrasto con Malevic, suprematista, non incline alla tattilità materica.
La geometria poi, in queste opere di Pardi, con i suoi ribaltamenti, e i tiranti carichi di energia, rendendo attivo lo spazio, nel superamento di pittura e scultura - usate insieme oltre i limiti dei generi - indica una particolare attrazione architettonica, che starebbe alla base delle sue ricerche: non a caso molti titoli sono “Architettura”.
Ma se si osservano le opere in modo più penetrante, tutto questo resta schematismo, apparenza, ciò che si vede subito: la vera chiave è altra.
Questa chiave non è, nel caso di Pardi, l'ambiguità, che pure è un tema che ricorre spesso nell'arte di oggi. L'ambiguità suggerisce qualcosa che c'è e non c'è, confonde il vero e il falso, l'essenziale e l'esistenziale, come avviene del resto nella vita di tutti i giorni: è un tema poetico che affascina già fin dal simbolismo, perché evoca l'idea del reale in divenire, che sfugge e fa sentire la presenza dell'altra faccia della medaglia. L'ambiguità è il razionale, ha radici nel potere suggestivo, rende instabile ciò che sembra su basi solide.
In questo senso, anche nell'opera di Pardi l'ambiguità si fa sentire, con tutto il suo fascino, nel senso che ciò che si vede nelle strutture non è tutto: ma nell'insieme diventa un aspetto incidentale, conseguenza della vera chiave, che va oltre l'ambiguo.
Non è, dall'altra parte, I'ermetismo della proporzione, il numero d'oro, di origine pitagorica e orfica: questo senso di misura chiusa c'è, almeno spesso, nelle sue opere, ma non è tutto. La proporzione, si sa, essendo regola di armonia compositiva, fa assumere nella struttura quel senso di mera- viglia, di stupore, che i surrealisti - specialmente Breton - le negavano, orientati verso l'altro tipo di meraviglia che nasce dall'accostamento casuale di cose estranee tra loro, ma che si rivela alla fine un gioco facile, fino al noto “cadavere squisito". Proprio nella storia della scultura - basta pensare all'Egitto, ai periodi arcaici di civiltà diverse, al nostro medioevo e al Quattrocento - la chiusa misura suscita il più attonito stupore: che è stupore del “numero”. In parte questa interna misura di proporzione, a volte anche con sottili varianti, c'è, ma non è l'aspetto fondamentale della sua opera.
Né infine è la nudità della struttura, che pure risalta a prima vista: questa nudità, che coincide con l'essenza costruttiva, c'è nelle sue opere, ma non sempre, perché ciò che sembra a prima vista struttura nuda messa in evidenza, nasconde spesso l'inafferrabile, iI segreto: che sono l'opposto della nudità strutturale.
In realtà l'opera di Pardi, senza dubbio complessa, anche se in apparenza semplificata al massimo, tanto da mostrarsi tutta “scoperta” nella sua genesi, nasce da una concezione del reale che va, come dicevo, oltre l'apparenza.
Prendiamo in esame alcuni esempi, scelti quasi a caso, tra le sue opere: le Finestre, le Porte, la serie delle Diagonali, le Piante, le Absidi: il resto, anche se eseguito prima, risulterà messo a fuoco nel modo più opportuno.
Le Finestre, come struttura, fanno parte della serie di Diagonali: rivelano il senso di costruzione tra la diagonale complessiva, generale, e le diagonali generate dalle successive ripartizioni. Ma, al di là di questo sistema compositivo, si presentano in realtà “quasi” come scatole: sotto la struttura, una zona dipinta resta chiusa, invisibile. Ed è qui il momento che suscita particolare interesse: nessuno vedrà mai, a meno che non smonti e distrugga l'opera, la zona dipinta e racchiusa sotto la copertura, nel vuoto scatola.
Perchè dunque Pardi ha sentito l'esigenza di fare questa operazione, a prima vista inutile?
E un procedimento “concettuale” (che certamente sarebbe piaciuto a Lucio Fontana, il quale però era estroverso e il senso del mistero l'otteneva dal vitalismo del segno-gesto): la zona dipinta è conservata (anche se sembra possa portarsi alla luce con uno scorrimento) invece è fissata, è racchiusa, come l'intoccabile, l'invisibile, che sentiamo nella vita di ogni giorno. E la spinta che viene dall'ignoto, dal mistero: e diventa così “concetto”, “idea” oltre il visibile, oltre l'apparenza. In sostanza, è una ripresa, con processi nuovi, dei modi delle civiltà più antiche, quando certe pitture e sculture non erano in funzione dell'occhio umano, restavano racchiuse nelle tombe, in certe zone dei templi, dove nessuno poteva vederle. Ma in queste civiltà tutto era in funzione del divino, diventava dunque un rito di origine religiosa: oggi, Pardi, da laico, usa questo processo forse per una spinta inconscia verso il mistero, l'emblematico, l'irrazionale oscuro che non ci fa spiegare il reale inafferrabile.
Nella serie di Porte tutto questo diventa più evidente: bastino gli esempi di due trittici Poeticamente abita l'uomo (dai versi di Holderlin) e Porta 1978. Nel primo esempio il trittico delle Porte, due chiare, una nera, in ferro, sono ermeticamente chiuse, impenetrabili, su una parte dove i segni lineari geometrici continuano dietro le porte stesse: ciò risulta meglio nell'altra variante, in cui accanto alla porta in ferro, tutta chiusa, le altre due sono strutture con vuoti, in certo modo “cancelli”, che mostrano, negli spazi della parete in vista tra le sbarre, questa continuità dei segni geometrici: ma anche queste due porte sono ermeticamente chiuse. Specialmente la porta in ferro scura, serrata, diventa “presenza” misteriosa, fa sentire il limite dello spazio e anche del reale umano: ed i segni su tutta la parete acquistano valore allusivo oltre l'apparenza.
Nell'altro trittico della Porta '78, su cui è una zona rettangolare, anch'essa divisa in tre parti ma più lunga, quasi architrave-idea, nel nitore della parete, senza altri segni se non le linee rette, divisorie degli spazi, accanto alla porta centrale in nero, la porta di destra è un vuoto che fa intravvedere una stanza chiusa, oscura: si accentua così, o comunque si ripresenta con varianti, il senso del vuoto, del mistero, del reale oscuro. La razionalità di tutta la struttura delle varie Porte poggia così sull'irrazionale, sino al risveglio di certe spinte dall'inconscio: bisogno di fughe impossibili, evasione, altri spazi. In fondo è un altro sviluppo, inedito, da lontane premesse simboliste.
Guido Ballo
Emilio Tadini: il grande artista visto da Vittorio Fagone per una mostra del 1972
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Emilio Tadini, Città Italiana |
Se si riconsidera lo spazio dell’invenzione campo attivo di una poetica moderna, come punto di recupero e di deragliamento di una convenzione (letteraria e linguistica), è certo questo il luogo dove punta con insistenza persuasiva il discorso di Tadini, il suo continuo appellarsi a immagini consuete come parti di una memoria infrazionabile. Una invenzione tanto più esplicita quanto meno definita, definibile, è la disposizione dei singoli articoli-oggetti-personaggi ritrovati; cosicché alla fine le immagini, i luoghi della invenzione cessano di essere strumenti, o semplici indicazioni di percorso, e liberano una evidenza incomprensibile, una figuralità illusoria e provocante.
Si tratta di un’operazione abbastanza sottile, che calcola lo scarto delle associazioni e ne blocca le uscite prevedibili riportandosi ai momenti di costituzione dell’immagine.
Certi meccanismi narrativi sono ben noti a Tadini. Ma non è sicuramente il racconto la chiave, la strutture del suoi quadri, quanto piuttosto la delimitazione di uno spazio dove un’azione è possibile, la genesi non fortuita di certe figure-segnali; gli interessa la possibilità di relazione tra oggetti diversi, ma anche - e forse più - l’impossibilità di certe relazioni. Lo spazio figurativo che egli a questo modo riconquista è ottenuto per una serie di alterazioni rispetto a una totalità univoca e inerte.
Le serie di dichiarazioni che Emilio Tadini premette alle sue opere più recenti presentate in questa mostra, e che appartengono tutte agli ultimi cicli «Viaggio in Italia» e «Paesaggi di Malevich », sono in questo senso indicative. Quando Tadini annota, a proposito del lavoro onirico come analizzato da Freud nell’« Interpretazione dei sogni», che per Freud è più importante l’analisi di un processo che la decifrazione di un cifrario, l’elaborazione di una sintassi che la compilazione di un dizionario - Tadini è interessato delle analogie tra attività onirica e il lavoro del figurare - egli formula anche una dichiarazione di poetica. A lui interessa più che l’oggetto di una rappresentazione figurativa la dilatazione di uno spazio di relazioni o di significati; l’identificazione di un contesto, di uno dei contesti possibili o impossibili, attraverso un gioco di spostamenti o false somiglianze (si pensi alle valige di marmo, ai solidi sospesi nel vuoto, allo spazio artificiale nella quale si dispongono gli oggetti di una stanza), più che l’inquadramento o l’accumulazione di una serie di oggetti-figure.
Ma ci sono altri due elementi da precisare per una essenziale comprensione del lavoro di Tadini. L’irreversibile specificità di costituzione di una struttura pittorica, e posizione e orientamento di tutto il suo lavoro rispetto al fronte della realtà. L’uso del colore e del disegno in Emilio Tadini è singolare. Il colore è disteso per superfici nette, rigorosamente delimitate da un disegno spesso costruito con un segno inciso come in negativo; se un colore si incontra con un altro colore non vi si mescola per
accostamenti di tono ma opponendo contorno a contorno (spie indicative sono le false ombre portate, le marezzature del marmo).
Esso si fa continuo, neutro come spazio conclusivo del quadro: in questa dimensione è tale da sostenere e provocare l’allentamento degli schemi ovvi di associazione ai quali più sopra si è accennato, lo scardinamento temporale (che è il luogo di analogia più acutamente pronunciato rispetto alla scena onirica). Questo spazio rigetta improvvise accensioni o modulazioni, liriche o pittoricistiche, ma assorbe e fa vivi i taglienti trapassi cromatici come occasioni percettive significanti.
Nel momento in cui tale processo si realizza c’è anche l’opposizione precisa a una determinazione formalistica. Che è spiegazione di un orientamento rispetto al nodo natura-cultura, avvertito dall’artista come uno dei luoghi decisivi delle contraddizioni dell’uomo occidentale. Tadini ha trascritto in alcune sue note recenti una delle fondamentali dichiarazioni utopiche dei «manoscritti» di Marx «la società è la compiuta consunstanziazione dell’uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il realizzato naturalismo dell’uomo e il realizzato umanesimo della natura ». Per Tadini la natura non è il paesaggio fuori di noi, non ‘e un oggetto di dominio «ma qualcosa con cui avere un (faticoso) ricambio organico, una estraneità di cui una parte di noi fa parte, da smuovere a una creatività "socialmente organizzata". Per questo, lo spazio figurativo che Emilio Tadini rivisita non si propone come uno spazio, confortevole o separato, di credibilità, ma come campo di vigile e non chiusa attenzione.
VITTORIO FAGONE dal catalogo della mostra di Tadini alla galleria Quattro venti, Palermo 1972
Archivio e Casa Museo Spazio Tadini HUB
responsabili: Francesco Tadini e Melina Scalise
per contatti: milanoartexpo@gmail.com - francescotadini61@gmail.com
Spazio Tadini / Francesco Tadini indirizzo: via Jommelli 24, 20131, Milano
Telefono: +39.3662632523
venerdì 8 gennaio 2016
Tadini visto da Enrico Crispolti - Archivio Francesco Tadini
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Emilio Tadini |
Non che il Tadini pittore si spieghi con il Tadini scrittore, o con il Tadini critico. Ma certo che quando si parla, come è giusto fare, per la pittura di Tadini, di immagine come segno figurativo d’un discorso logico, d’una elaborazione d’ipotesi di pensiero, sarà utile ricordare che appunto Tadini è stato scrittore, come è stato critico, e molto acuto e personale (a lui è legata la stagione milanese dalla quale sono nati Romagnoni, Adami, e altrimenti Cavaliere).
Tuttavia la pittura di Tadini non è certo letteraria (come si diceva, di quella di Savinio): infatti non discende da un discorso letterario, perchè il modo di avanzare ipotesi di relazioni di pensiero, che mi sembra essere per Tadini il solo modo di porsi nella realtà, è una condizione costante della sua personalità, starei per dire però a monte delle diverse determinazioni che di volta in volta ritiene necessario assumere.
Queste determinazioni sono esattamente il modo di spingere l’ipotesi al massimo limite della sua capacità di promuovere conoscenza nuova della realtà. Così la sua necessità di essere pittore non nasce per Tadini appunto dalla volontà di tradurre in immagini figurali immagini letterarie, bensì dalla convinzione che solo il materializzarsi in figura renderà configurabili tali immagini, o meglio promuoverà l’ipotesi di conoscenza nuova che quelle immagini simboli di relazioni di pensiero riusciranno — ed esse soltanto, insurrogabili — a configurare. Così che la figurazione per Tadini è evidenza plastica conclusiva di un discorso logico, la cui analisi tuttavia, ripeto, soltanto in tale evidenza plastica può realizzarsi, altrimenti sfuggendo alla conoscenza.
Così per Tadini l’immagine vale in quanto simbolo mentale; non è concettuale, bensì è figura caratterizzante un discorso mentale, la cui realtà ed efficienza è tuttavia appunto soltanto nella sua caratterizzazione simbolica in figura. Così Tadini non propone un narrativo nelle sue « scene >> nei suoi « in- terni »: essi non rappresentano se non il campo operativo delle « pedine » figurali d’un discorso mentale d’ipotesi su processi e relazioni che riguardano sì intimamente la realtà, ma non in senso ottico, bensì secondo una sorta di strutturalismo psichico e comportamentistico, non accettato tuttavia in leggi prefissate, quanto scandagliato in ipotesi d’analisi di processi, di virtuali strutture del reale.
Si potrebbe forse parlare per la pittura di Tadini d’una sorta di metafisica logica, anziché onirica, d’illuministica chiarezza, anziché arcana ed epifanica. Non si creda tuttavia che Tadini intenda limitare e chiudere il gioco dei significati di questi simboli figurali messi in campo, e risolventi in figura, processi di natura mentale. In realtà il gioco d’ipotesi analitiche che il pensiero elabora, e in figura caratterizza, come solo modo d’essere attivamente nel reale, quel gioco dico include nei propri termini anche la molteplicità interpretativa del simbolo. Cioè le stesse figure che Tadini pone sulla tela, e che quei processi di pensiero figurano, sono poi interpretativamente « aperte », offrono un gioco d’ipotesi di significati molteplice e ampio: sono, se così si può dire, simboli aperti, non simboli chiusi e allegorici.
In fondo il discorso figurale che Tadini conduce mi sembra essere un discorso di segni di diversi sistemi posti ipoteticamente a frizione in un processo sperimentale, ipotesi di interrogazione sulle strutture del reale (sociologico e ontologico): universo di segni.
La Casa Museo Spazio Tadini di via Jommelli 24 a Milano è sede dell'Archivio delle opere del grande artista scomparso nel 2002. Francesco Tadini e Melina Scalise organizzano nella location milanese mostre e eventi d'arte in memoria di Emilio Tadini.
mercoledì 6 gennaio 2016
Firenze - foto di Francesco Tadini
Firenze in un recente magnifico breve viaggio con Melina Scalise - Francesco Tadini propone fotografie e news anche dal centro culturale e Casa Museo Spazio Tadini, dalla pagina Instagram di Francesco Tadini, contenente anche selezioni del photocontest instaworldmilano2015 per una grande mostra fotografica a Milano che partirà dalla Casa Museo Spazio Tadini, associazione culturale in via Jommelli 24 fondata insieme a Melina Scalise via IFTTT
Ponte Vecchio Firenze - foto Francesco Tadini
Foto di viaggio a Firenze - Francesco Tadini propone anche fotografie e news dal centro culturale e Casa Museo Spazio Tadini, dalla pagina Instagram di Francesco Tadini, contenente anche selezioni del photocontest instaworldmilano2015 per una grande mostra fotografica a Milano che partirà dalla Casa Museo Spazio Tadini, associazione culturale in via Jommelli 24 fondata insieme a Melina Scalise via IFTTT
sabato 2 gennaio 2016
Scipione Gino Bonichi, Piazza Navona, dipinto a 26 anni dal grande pittore - documenti d'arte contemporanea
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Scipione - Piazza Navona, 1930 |
Mario Mafai, il 19 novembre 1933, scrive In morte di Scipione per L’Italia Letteraria, ricordando quel clima romano di vagabondaggio...
"ll primo quadro di Scipione, esposto nel ’29, era un bue che soffìava sulla terra e un adolescente che guardava l’orizzonte nuvoloso e crepuscolare. Era già fuori della corrente pittura, annunziava un’intuizione poetica e cosmica dell’universo, che, accoppiata alla sua sensibilità pittorica, lo faceva inconfondibile anche da quei surrealisti che mettono tutto dalla parte della fantasia. La sua sensualità, la sua tattilità strana non gli ha permesso mai di rimanere esclusivamente in un freddo terreno di immagini. Scipione concepiva la pittura come un’emanazione diretta delle cose.
«Se si vuol dare un senso lirico alle cose, bisogna avere un’anima che ci risponda e sia pronta a vibrare» mi ha scritto nell'ultima sua lettera...
Vagabondava di notte nelle strade e nelle piazze di Roma con gli amici cui trasfondeva quella sua sovrabbondanza, li ubriacava, voleva aprir loro gli occhi alle immense ricchezze della vita che a lui doveva sfuggire. E in una di queste notti, capitato in botticella a Piazza Navona, ordinò al vetturino di girare e girare attorno a questa piazza otto, nove volte come in un’estasi. Il giorno dopo realizzava uno dei suoi migliori quadri: il paesaggio di Piazza Navona.
Ma la sua malattia era soltanto assopita e lo sorprese all'improvviso e nel suo momento migliore; quando credeva di averla già vinta."
Mario Mafai
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Scipione (Gino Bonichi)
È nato a Macerata nel 1904. Nel 1927, con Mario Mafai, Antonietta Raphäel e Marino Mazzacurati, dà inizio a quella che Roberto Longhi ha chiamato la Scuola romana di via Cavour. In questo primo periodo si collocano i suoi quadri ispirati a temi mitologici secondo le suggestioni metafisiche dei «Valori Plastici», corretti tuttavia rapidamente con un trasferimento del mito nella verità del quotidiano. Le suggestioni culturali risalenti alle opere del Greco, lo spingono ad un violento vitalismo mistico, che si traduce in visioni apocalittiche dipinte con accensioni e tenebre. Espone nel ’27 da Bragaglia e l’anno dopo a Palazzo Doria. Attraverso l’amicizia con l’amico E. Falqui collabora a «L’Italia Letteraria» nel ’29. In questo stesso anno passa alcuni mesi a Collepardo ed espone alla Mostra Sindacale del Lazio e alla Mostra di Arte marinara. Inoltre è presente alla Biennale di Venezia e, con Mafai, in una esposizione a Roma. Muore ad Arco (Trento) nel 1933. Due anni dopo, la Quadriennale gli dedica una retrospettiva.
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Francesco Tadini vi invita a condividere le attività della Casa Museo Spazio Tadini di via Jommelli 24 a Milano e a seguire e collaborare con il magazine / blog Arte Design Fashion Fotografia e Lifestyle Milano Arte Expo.
Lucio Fontana prima di Concetto Spaziale - Milano arte contemporanea documenti
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Signorina seduta, bronzo colorato, 1934, Milano |
Visto così, dall'esterno, Fontana può sembrare un artista complicatissimo e mutevole: la facilità di assoggettarsi a tutti gli stili, la capacità di convertirsi continuamente, possono sorprendere come di fronte ad un giocoliere. Eppure con quanta logica lo scultore perviene agli Amanti della «Casa del Sabato» alla V Triennale, e alla Bagnante della Villa Studio. De Fiori e Zadkin, Despiau e Laurens, impressionismo, cubismo, espressionismo, tutti questi pretesti di cultura accennano già a risolversi in una espressione viva, in istile.
Per Simmel il significato dell’espressionismo è «l’interna commozione dell’artista che si prosegue nell’opera, o, meglio ancora, come opera, del tutto immediatamente così quale viene vissuta». Questo è il punto di arrivo di Lucio Fontana: la vita nell’arte.
Le ultime opere dello scultore non sono, a questa stregua, né una bizzarria né un paradosso, ma un tentativo di estrema coerenza. L’autore crede che esse siano le sue cose migliori; se’condo noi costituiscono i documenti più sensazionali della sua acutezza critica, nello sforzo di ridurre, per così dire, il gusto europeo alla sua ragion pura. Ma Lucio Fontana è veramente altrove: nella Vittoria degli aviatori e, meglio, nella Signorina seduta.
La Signorina seduta, contemporanea al Pescatore che fu creato per strappare un grido di ammirazione alla giuria del «Tantardini», e contemporanea alle sculture in nero, in nero e rosso, in nero e bianco, è, per ora, il capolavoro di Fontana. Rappresenta il disfacimento del volume, la pretesa di risolvere scultura e pittura su di un piano lontanissimo da Rosso: tutte le esperienze di gusto dello scultore e tutte le sue ossessioni cromatiche sono adunate nella perfetta unità dell’opera, e in quella veste nera che è un accento indimenticabile.
Edoardo Persico
Lucio Fontana, Edizioni di Campo Grafico, Milano 1936.
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Francesco Tadini vi invita a partecipare alle attività della Casa Museo Spazio Tadini di via Jommelli 24 a Milano e a leggere e collaborare con il magazine /blog Arte Design Fashion Fotografia e Lifestyle Milano Arte Expo.
venerdì 1 gennaio 2016
Ristoranti greci a Milano: Akropolis, il migliore dalla Moussaka allo Tzatziki - parola di Francesco Tadini
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ristorante greco Akropolis a Milano |
Oltre a quello che abbiamo già scritto ci sentiamo di complimentarci anche per l'accoglienza, che è stata eccellente. Vi si fa sentire ospiti in una trattoria a gestione familiare, di quelle alle quali è facile affezionarsi, anche se il livello del servizio e della cucina è da ristorante che potrebbe, in un prossimo futuro, ottenere la stella Michelin o essere citato nella francese La Liste.
Il sottoscritto Francesco Tadini è un goloso di antipasti .... e vi giuro che potreste sfamarvi con tre di quelli - deliziosi e in grande varietà - che vengono proposti dal Menu del ristorante Akropolis.
Quindi, se la domanda del ghiottone è "Dove mangiare greco a Milano", fidatevi: via Accademia all'angolo con la via privata Mario Bianco.
... Magari, prima di mangiare, potreste fare un salto a vedere le mostre in galleria! Dove? Allo Spazio Tadini, naturalmente. Tra le prossime inaugurazioni: Welcome to the jungle, mostra a cura di - e ideata da - Annalisa D'Amelio - Artisti: Fabio Giampietroo, Enzo Fiore, Lorenzo Nardellii, Aqua Aura, Andrea Cereda, Shuhei Matsuyama, Lazzaro Fornoni. Dal 14 gennaio al 29 gennaio 2016. C'è anche un sito della mostra, che verrà arricchito di informazioni sugli artisti partecipanti e di immagini delle opere: ecco il LINK.
Annalisa D'Amelio, Federicapaola Capecchi (coreografa e socia onoraria di Spazio Tadini) Michela Ongaretti, Samanta Airoldi, Eleonora Prado, Francesca Ortu e Silvia Ceffa costituiscono ormai un gruppo di blogger che collabora frequentemente con Milano Arte Expo. La rivista / blog che prende in considerazione Arte Design Fashion Fotografia e Lifestyle.
Buon 2016 a tutti da Francesco Tadini e Melina Scalise.
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