Scipione - Piazza Navona, 1930 |
Mario Mafai, il 19 novembre 1933, scrive In morte di Scipione per L’Italia Letteraria, ricordando quel clima romano di vagabondaggio...
"ll primo quadro di Scipione, esposto nel ’29, era un bue che soffìava sulla terra e un adolescente che guardava l’orizzonte nuvoloso e crepuscolare. Era già fuori della corrente pittura, annunziava un’intuizione poetica e cosmica dell’universo, che, accoppiata alla sua sensibilità pittorica, lo faceva inconfondibile anche da quei surrealisti che mettono tutto dalla parte della fantasia. La sua sensualità, la sua tattilità strana non gli ha permesso mai di rimanere esclusivamente in un freddo terreno di immagini. Scipione concepiva la pittura come un’emanazione diretta delle cose.
«Se si vuol dare un senso lirico alle cose, bisogna avere un’anima che ci risponda e sia pronta a vibrare» mi ha scritto nell'ultima sua lettera...
Vagabondava di notte nelle strade e nelle piazze di Roma con gli amici cui trasfondeva quella sua sovrabbondanza, li ubriacava, voleva aprir loro gli occhi alle immense ricchezze della vita che a lui doveva sfuggire. E in una di queste notti, capitato in botticella a Piazza Navona, ordinò al vetturino di girare e girare attorno a questa piazza otto, nove volte come in un’estasi. Il giorno dopo realizzava uno dei suoi migliori quadri: il paesaggio di Piazza Navona.
Ma la sua malattia era soltanto assopita e lo sorprese all'improvviso e nel suo momento migliore; quando credeva di averla già vinta."
Mario Mafai
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Scipione (Gino Bonichi)
È nato a Macerata nel 1904. Nel 1927, con Mario Mafai, Antonietta Raphäel e Marino Mazzacurati, dà inizio a quella che Roberto Longhi ha chiamato la Scuola romana di via Cavour. In questo primo periodo si collocano i suoi quadri ispirati a temi mitologici secondo le suggestioni metafisiche dei «Valori Plastici», corretti tuttavia rapidamente con un trasferimento del mito nella verità del quotidiano. Le suggestioni culturali risalenti alle opere del Greco, lo spingono ad un violento vitalismo mistico, che si traduce in visioni apocalittiche dipinte con accensioni e tenebre. Espone nel ’27 da Bragaglia e l’anno dopo a Palazzo Doria. Attraverso l’amicizia con l’amico E. Falqui collabora a «L’Italia Letteraria» nel ’29. In questo stesso anno passa alcuni mesi a Collepardo ed espone alla Mostra Sindacale del Lazio e alla Mostra di Arte marinara. Inoltre è presente alla Biennale di Venezia e, con Mafai, in una esposizione a Roma. Muore ad Arco (Trento) nel 1933. Due anni dopo, la Quadriennale gli dedica una retrospettiva.
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