domenica 10 gennaio 2016

Gianfranco Pardi visto da Guido Ballo nel 1983 - artisti e mostre a Milano e a Spazio Tadini

Gianfranco Pardi
Gianfranco Pardi, Architettura, 1973
Artisti e mostre a Milano e a Spazio Tadini - Gianfranco Pardi visto da Guido Ballo nel 1983. Nel dicembre 2015 si è tenuta alla Casa Museo di via Jommelli 24, Spazio Tadini HUB, la mostra Dialoghi Milanesi (vedi LINK all'articolo sul magazine Milano Arte Expo) a cura di Francesco Tadini e Melina Scalise con opere degli artisti: Emilio Tadini, Alik Cavaliere, Enrico Baj, maschera africana Salampasu della collezione Passaré, Gianfranco Pardi, Mino Ceretti, Filippo Scimeca, Nino Attinà, Enzo Togo,  Tiziana Vanetti, Sergio Dangelo, Rosanna Forino, Franco Mussida, Dario Brevi, Lucio Perna, Ludovico Calchi Novati, Francesca Magro, Sara Montani, Gaetano Fracassio, Florencia Martinez, Giorgio Albertini, Barbara Nahmad, Gabriele Buratti, Giorgio Celon, KayOne (al secolo Marco Mantovani), Willow (Filippo Bruno), Mario De Leo, Metaborg (Gianni Zara e Luca Motta), Luciano Bambusi (fotografo).

Sono state "formate" coppie di artisti che hanno dialogato fertilmente e a lungo, nella loro vita, d'arte e dintorni. Un'opera di Mino Ceretti è stata messa vicino a un piccolo gruppo di opere di Gianfranco Pardi (Milano 1933 - 2012). Tadini, Ceretti, Cavaliere, Enrico Baj e Gianfranco Pardi facevano parte, tra gli altri, di un gruppo nutrito di grandi amici - l'unico dei quali ancora vivo è Ceretti - che si frequentavano quasi quotidianamente. E, con loro, grandi critici d'arte e scrittori, giornalisti e fotografi (uno a caso? Ugo Mulas), attori e musicisti ...  che credevano nella vita come forma d'arte, prima ancora che nell'arte come modo di vivere.

Uno di loro era Guido Ballo (Adrano, 12 aprile 1914 – Milano, 26 luglio 2010) scrittore e grandissimo critico d'arte. Ballo ha dedicato pagine memorabili a una moltitudine di grandi artisti. Il testo che segue riguarda Gianfranco Pardi. E' del 1983 e si intitola: "Gianfranco Pardi, oltre l'apparenza".

mostre Milano 2016
Grandi artisti italiani - Gianfranco Pardi, Architettura, 1973
"Oltre l'apparenza: così chiamerei questa mostra e in genere lo sviluppo dell'opera di Pardi.

A un primo sguardo infatti tutto sembra razionale struttura, estrema conseguenza del costruttivismo storico, sorto in Russia prima del '14 con Tatlin, Rodchenko e gli altri del gruppo, in contrasto con Malevic, suprematista, non incline alla tattilità materica.

La geometria poi, in queste opere di Pardi, con i suoi ribaltamenti, e i tiranti carichi di energia, rendendo attivo lo spazio, nel superamento di pittura e scultura - usate insieme oltre i limiti dei generi - indica una particolare attrazione architettonica, che starebbe alla base delle sue ricerche: non a caso molti titoli sono “Architettura”.

Ma se si osservano le opere in modo più penetrante, tutto questo resta schematismo, apparenza, ciò che si vede subito: la vera chiave è altra.

Questa chiave non è, nel caso di Pardi, l'ambiguità, che pure è un tema che ricorre spesso nell'arte di oggi. L'ambiguità suggerisce qualcosa che c'è e non c'è, confonde il vero e il falso, l'essenziale e l'esistenziale, come avviene del resto nella vita di tutti i giorni: è un tema poetico che affascina già fin dal simbolismo, perché evoca l'idea del reale in divenire, che sfugge e fa sentire la presenza dell'altra faccia della medaglia. L'ambiguità è il razionale, ha radici nel potere suggestivo, rende instabile ciò che sembra su basi solide.

In questo senso, anche nell'opera di Pardi l'ambiguità si fa sentire, con tutto il suo fascino, nel senso che ciò che si vede nelle strutture non è tutto: ma nell'insieme diventa un aspetto incidentale, conseguenza della vera chiave, che va oltre l'ambiguo.

Non è, dall'altra parte, I'ermetismo della proporzione, il numero d'oro, di origine pitagorica e orfica: questo senso di misura chiusa c'è, almeno spesso, nelle sue opere, ma non è tutto. La proporzione, si sa, essendo regola di armonia compositiva, fa assumere nella struttura quel senso di mera- viglia, di stupore, che i surrealisti - specialmente Breton - le negavano, orientati verso l'altro tipo di meraviglia che nasce dall'accostamento casuale di cose estranee tra loro, ma che si rivela alla fine un gioco facile, fino al noto “cadavere squisito". Proprio nella storia della scultura - basta pensare all'Egitto, ai periodi arcaici di civiltà diverse, al nostro medioevo e al Quattrocento - la chiusa misura suscita il più attonito stupore: che è stupore del “numero”. In parte questa interna misura di proporzione, a volte anche con sottili varianti, c'è, ma non è l'aspetto fondamentale della sua opera.

Né infine è la nudità della struttura, che pure risalta a prima vista: questa nudità, che coincide con l'essenza costruttiva, c'è nelle sue opere, ma non sempre, perché ciò che sembra a prima vista struttura nuda messa in evidenza, nasconde spesso l'inafferrabile, iI segreto: che sono l'opposto della nudità strutturale.

In realtà l'opera di Pardi, senza dubbio complessa, anche se in apparenza semplificata al massimo, tanto da mostrarsi tutta “scoperta” nella sua genesi, nasce da una concezione del reale che va, come dicevo, oltre l'apparenza.

Prendiamo in esame alcuni esempi, scelti quasi a caso, tra le sue opere: le Finestre, le Porte, la serie delle Diagonali, le Piante, le Absidi: il resto, anche se eseguito prima, risulterà messo a fuoco nel modo più opportuno.

Le Finestre, come struttura, fanno parte della serie di Diagonali: rivelano il senso di costruzione tra la diagonale complessiva, generale, e le diagonali generate dalle successive ripartizioni. Ma, al di là di questo sistema compositivo, si presentano in realtà “quasi” come scatole: sotto la struttura, una zona dipinta resta chiusa, invisibile. Ed è qui il momento che suscita particolare interesse: nessuno vedrà mai, a meno che non smonti e distrugga l'opera, la zona dipinta e racchiusa sotto la copertura, nel vuoto scatola.

Perchè dunque Pardi ha sentito l'esigenza di fare questa operazione, a prima vista inutile?

E un procedimento “concettuale” (che certamente sarebbe piaciuto a Lucio Fontana, il quale però era estroverso e il senso del mistero l'otteneva dal vitalismo del segno-gesto): la zona dipinta è conservata (anche se sembra possa portarsi alla luce con uno scorrimento) invece è fissata, è racchiusa, come l'intoccabile, l'invisibile, che sentiamo nella vita di ogni giorno. E la spinta che viene dall'ignoto, dal mistero: e diventa così “concetto”, “idea” oltre il visibile, oltre l'apparenza. In sostanza, è una ripresa, con processi nuovi, dei modi delle civiltà più antiche, quando certe pitture e sculture non erano in funzione dell'occhio umano, restavano racchiuse nelle tombe, in certe zone dei templi, dove nessuno poteva vederle. Ma in queste civiltà tutto era in funzione del divino, diventava dunque un rito di origine religiosa: oggi, Pardi, da laico, usa questo processo forse per una spinta inconscia verso il mistero, l'emblematico, l'irrazionale oscuro che non ci fa spiegare il reale inafferrabile.

Nella serie di Porte tutto questo diventa più evidente: bastino gli esempi di due trittici Poeticamente abita l'uomo (dai versi di Holderlin) e Porta 1978. Nel primo esempio il trittico delle Porte, due chiare, una nera, in ferro, sono ermeticamente chiuse, impenetrabili, su una parte dove i segni lineari geometrici continuano dietro le porte stesse: ciò risulta meglio nell'altra variante, in cui accanto alla porta in ferro, tutta chiusa, le altre due sono strutture con vuoti, in certo modo “cancelli”, che mostrano, negli spazi della parete in vista tra le sbarre, questa continuità dei segni geometrici: ma anche queste due porte sono ermeticamente chiuse. Specialmente la porta in ferro scura, serrata, diventa “presenza” misteriosa, fa sentire il limite dello spazio e anche del reale umano: ed i segni su tutta la parete acquistano valore allusivo oltre l'apparenza.

Nell'altro trittico della Porta '78, su cui è una zona rettangolare, anch'essa divisa in tre parti ma più lunga, quasi architrave-idea, nel nitore della parete, senza altri segni se non le linee rette, divisorie degli spazi, accanto alla porta centrale in nero, la porta di destra è un vuoto che fa intravvedere una stanza chiusa, oscura: si accentua così, o comunque si ripresenta con varianti, il senso del vuoto, del mistero, del reale oscuro. La razionalità di tutta la struttura delle varie Porte poggia così sull'irrazionale, sino al risveglio di certe spinte dall'inconscio: bisogno di fughe impossibili, evasione, altri spazi. In fondo è un altro sviluppo, inedito, da lontane premesse simboliste.

Guido Ballo


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