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venerdì 23 settembre 2016

Il Faraone, romanzo dello scrittore polacco Boleslaw Prus

faraone
Boleslaw Prus
Il Faraone, romanzo dello scrittore polacco Boleslaw Prus (pseudonimo di Aleksander Glowacki, 1847-1912), composto negli ultimi anni dell'Ottocento. Il problema del contrasto tra la collettività e l’individuo, tra la vita reale e l’ideale, nel quale si dibatte la società umana d’ogni tempo e d’ogni paese, è qui inquadrato nella cornice dell’antica storia egiziana. L’autore ci trasporta ai tempi di Ramses II. Il figlio del Faraone è amato dal popolo e dalle truppe, perché dichiara l'intenzione d’introdurre nella vita dello Stato benefiche riforme sociali; ma è invece avversato dalla potente casta sacerdotale, gelosa - come è sempre successo nel corso dei millenni dell'intera Storia dell'umanità - dei propri privilegi.

Da questo conflitto si genera una lotta che durerà parecchio tempo tra le due parti, che inasprisce fino all'esasperazione quando, morto il vecchio Faraone, gli succede legittimamente suo figlio. Per provare a sottrarre al potere di quest'ultimo il tesoro statale, i sacerdoti lo nascondono nel labirinto. Popolo e truppe muovono all'assalto e i sacerdoti avrebbero la peggio se improvvisamente un’eclissi di sole - un fatto naturale ma certamente dotato di una evidenza ultraterrena ai tempi dell'antico Egitto - non sgominasse gli assalitori.

L’astuto sacerdote Herhor ne approfitta per gridare al miracolo, facendola credere al popolo che l'eclissi, anziché essere un accadimento ciclico normale, sia un segno del tutto palese della collera divina. Il sovrano Ramses III peraltro non cede e oppone una resistenza disperata, ma, una volta che viene abbandonato anche dalle sue truppe, è travolto e ucciso e Herhor sale sul suo trono. Questi, tuttavia, divenuto capo dello Stato, non può, egli stesso, sottrarsi alla necessità di applicare quelle medesime riforme che Ramses III aveva progettato e contro le quali egli si era battuto sanguinosamente.

Ramses III
Ramses III, la mummia
Gli elementi storici del romanzo sono spesso discutibili, anche quelli inerenti al faraone  Ramses III.
Ma ciò non ha importanza nel quadro generale e nel significato dell’opera, il cui obiettivo morale e sociale (l’ineluttabilità del progresso) è messo egregiamente in rilievo attraverso una grandiosa costruzione fantastica - oggi verrebbe quasi da chiamarla fantascientifica e molto adatta a diventare una sceneggiatura per un film di Hollywood - nella quale sono magistralmente disegnate le caratteristiche positive e negative dell’intera società umana, qui quasi simbolicamente impersonate nel popolo egiziano e inserite nella sua storia antichissima (... tutto questo sforzo letterario viene portato a termine, probabilmente, per eludere facili sospetti della censura russa).
Il Faraone è tra le maggiori affermazioni del talento letterario di Prus, se non il suo capolavoro.

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Lettura suggerita: "Rodin sull’arte, la scultura e la fotografia: l’artista è veritiero, la fotografia mente", a > questo LINK del sito di Francesco Tadini.

martedì 13 settembre 2016

Bernadette Soubirous di Franz Werfel, da Lourdes al romanzo

Bernadette
Bernadette
Bernadette Soubirous di Franz Werfel,  da Lourdes al romanzo. La Nostra è la protagonista del romanzo Il canto di Bernadette di F. Werfel (1890 – 1945). Esso si ispira alla figura di Bernadette Soubirous (1844 – 1879), la pastorella di Lourdes a cui la Vergine, sotto l'aspetto di una signora bellissima, apparve ripetutamente nella grotta di Massabielle. Questo personaggio di Franz Werfel attesta un'acuta intuizione dell'elemento affine che ricollega il mondo religioso a quello artistico. In più punti dell'opera ci sono precisi richiami a questa vaga analogia.

Bernadette Soubirous
Bernadette Soubirous,
grotta di Massabielle,
foto del 1863
Con cauto linguaggio che evita un deciso atteggiamento razionalistico Franz Werfel osserva una volta: "alla piccola Bernadette è riuscito ciò che riesce soltanto ai più grandi poeti: quello che i suoi occhi vedono per grazia del cielo, circola fra la gente del suo popolo come una realtà". Ecco una considerazione che spiega il rapporto tra il fatto religioso e la creazione artistica. L'autore insiste sempre sulla immaginazione estremamente vivace di Bernadette, sulla sua innocenza del tutto candida, sul suo stupore di qualità estatica. La mente della fanciulla è chiusa alle speculazioni astratte. Quando suor Marie-Thérèse Vauzous la interroga sulla Santissima Trinità, Bernadette, che è la maggiore ma la più immatura della classe, non sa che cosa rispondere. La parola presepio, però, esalta subito la sua fantasia che evoca l'immagini nitide e pittoresche.

La prodigiosa forza spirituale di Bernadette dipende dalla perfetta fusione di una immaginazione fervida con una fede vigorosa. L'agente delle imposte, Estrade, "non riesce a comprendere la strana potenza con la quale questa ottusa figlia dei Pirenei con ogni suo sguardo, ogni suo passo, ogni suo gesto, dà vita e realtà a ciò che non esiste". Il segreto di tale potenza e la intensità della sua vita interiore. La realtà si identifica per lei in un impulso d'amore verso la misteriosa e bellissima Nostra Signora di Lourdes. Bernadette non indaga mai chi sia, né si domanda dei perché: lei vive, ama, gode. La fiamma la trasfigura anche fisicamente. La madre, dapprima incredula e sordamente irritata contro la figlia che le procura, col suo estatico contegno, molte noie, osservandola durante un'apparizione, esclama: "quella non è lei… Quella non è Bernadette… Non riconosco più la mia bambina…"
Gli incontri con la Signora mutano poco a poco il suo aspetto esteriore. Indifferente a tutto, lei è sensibilissima e risoluta nell'ambito del suo mondo: di fronte alla Bellissima, la sua indomita volontà si esplica, si intende, unicamente sotto il rapporto che intercorre tra la più eccelsa imperatrice e la più umile ancella.
Bernadette trapassa dall'estasi al languore, al deliquio. Un accenno di benevolenza da parte della Signora la esalta, il sospetto della sua disapprovazione da abbattere: la vicenda di questi sentimenti non altera solo l'anima, ma anche il corpo, tanto grande è la tensione di Bernadette. Essa agisce come guidata da voci interiori, i suoi gesti acquistano una solennità rituale, anche negli atti più comuni: un segno di croce, la recita della preghiera, un inchino.

A volte Bernadette e si trasferisce (in modo inconsapevole) in quella fase primordiale - per così dire mitica - in cui il culto spontaneamente nasce, come quando è la bacia la terra per esprimere la soddisfazione di aver capito la Signora. "Era un cerimoniale che avvicinava spiritualmente al divino con tale potenza che al suo confronto una solenne messa cantata diventava una vuota pomposità".
Sgombra d'ogni superbia e vanità, la sua mente va diritta al segno. "La sua logica, poggiata sulla potenza persuasiva dell'amore" confuta i dotti, laici e religiosi. L'alone mistico che avvolge la sua umiltà diffonde la luce della grazia e crea l'aura del miracolo. Pur turbato, di quando in quando, da incubi terribili e fantasmi diabolici, il suo spirito si eleva in ultimo alla pura letizia, trionfa a poco a poco sullo scandalo, sull'irrisione, sull'odio, sulla miscredenza, e la sua gloria sale man mano dal tugurio paterno alla grotta di Lourdes, al convento di Sainte-Gildarde, per sfolgorare nella solenne cerimonia della santificazione in San Pietro.

Franz Werfel segue con mirabile perspicacia intuitiva i vari atteggiamenti psichici del personaggio Bernadette che resta sempre sospeso in una zona di confine fra la fiaba poetica e la leggenda sacra, conservando però i tratti di una creatura storica.
La verità artistica della figura dipende da un sapiente equilibrio di elementi eterogenei, proiettati sopra uno sfondo remoto tanto dalla introspezione psicanalitica quanto dall'oratoria edificativa.

John Barleycorn di Jack London - riassunto del romanzo autobiografico

John Barleycorn
John Barleycorn, 1913,
copertina della
prima edizione
John Barleycorn di Jack London - riassunto. Romanzo autobiografico americano di Jack London (John Griffith) (1876-1916), pubblicato nel 1913. L’autore narra la storia dei suoi rapporti con John Barleycorn – Giovanni Chicco di Grano – nomignolo con cui si personificano in inglese le bevande alcoliche e, specialmente, il whisky. Racconta come bevesse le prime volte non per desiderio o per gusto – perché, anzi, l’alcool gli ripugnava – ma per curiosità, dapprima, poi per spirito di socievolezza, perché amava il conforto che viene dall'osteria, perché “ovunque la vita batteva un ritmo più largo e possente gli uomini bevevano”, e perché “romanzo e avventura sembravano andar sempre a braccetto con John Barleycorn”.

Molti sono i tiri che il whisky gli gioca: una volta, dopo tre giorni di ubriachezza, tenta di suicidarsi annegandosi e si salva soltanto per la sua eccezionale vigoria fisica; un’altra volta è spinto a una rissa in cui per poco non lascia la vita. Ma solo quando, dopo un’indigestione di lavoro materiale, decide di sfruttare il proprio cervello e si mette a scrivere, sente veramente il desiderio dell’alcool. Desiderio dal quale non riesce a liberarsi nemmeno imbarcandosi per una lunga crociera, nemmeno ritirandosi poi a vivere nella pace della sua fattoria: per troppi anni è stato in contatto con John Barleycorn per poter fare a meno di lui.

Mentre prima beveva per stordirsi, ora beve per sentirsi meglio, ma, a un certo punto, invece della solita energia fittizia, l'alcool gli da la “logica inesorabile, adamantina messaggera della verità al di là del vero”, l’antitesi della vita, tutta soffusa di cosmica tristezza.

Un miracolo lo salva dal suicidio, logico risultato di un simile stato d'animo; ed egli conclude sostenendo che, su centomila uomini, non uno è alcolizzato nato e che l'abitudine di bere non è un bisogno fisico, ma un'abitudine del cervello, puramente intellettuale. Forse verrà un'epoca in cui gli uomini relegheranno nel passato, insieme con i roghi delle streghe, le intolleranze e i feticci, anche, e non ultima tra queste barbarie John Barleycorn.

Il libro è qualcosa di mezzo tra un romanzo a tesi e una confessione autobiografica, attraverso cui ci è dato di seguire l'autore nelle tappe della sua vita avventurosa, resa tragicamente patetica dalla mancanza di una vera, profonda coscienza morale e artistica.