mercoledì 24 agosto 2016

Jacques il fatalista di Denis Diderot, il dubbio all'epoca della ragione

Jacques il fatalista e il suo padrone
Jacques il fatalista di Denis Diderot, il dubbio all'epoca della ragione. Il romanzo Jacques le fataliste et son maître viene pubblicato da Diderot (1713-1784) a Parigi nel 1796. Chi è questo personaggio fondamentale della storia della letteratura (e della filosofia)? Nulla di trascendentale, nulla di metafisico nel fatalismo di Jacques. "Noi crediamo di guidare il destino, ma è sempre lui a guidarci; e il destino, per Jacques, era tutto ciò che lo toccava o lo avvicinava, il suo cavallo, il suo padrone, un frate, un cane, una donna, un mulo, una cornacchia". La sorte della vita è nella stessa vita che evolve, in maniera ovvia e assurda, nel modo più fantastico e banale degli accadimenti imprevedibili a qualunque ora, giorno, settimana, mese… Ma è sempre giusta se specchiata nel destino che le è, dunque, immanente.

Denis Diderot, 1767,
ritratto da Louis-Michel van Loo
Un destino avventuroso e libero, fermato alla meta breve dei passi umani e conseguente solamente "a posteriori" nelle giustificazioni delle quali Jacques, il pragmatico razionalista, conforta la continua sfortuna dei corsi della propria esistenza. Tutto ciò che avviene deve avvenire. Dove va, Jacques il fatalista? Giacomo non sa nulla a priori e, del resto, non vuole saperne nulla. Egli parte da dove Candido arriva (primum, vivere), e si porta dietro, onesta come fosse un buon vino, quella vecchia saggezza di Rabelais che fu il piatto forte fonte di salute della Francia letteraria fino a Molière e a Beaumarchais.

Un po' Sancho e un po' Figaro, un po' Arlecchino e un po' Sganarello (personaggio comico di Molière), il servo Jacques di Diderot è un popolano dal fresco sentire e dallo sguardo sincero nel cui personaggio il Settecento spezzò più di una lancia per l'idea rivoluzionaria. Jacques il fatalista è un bonario panteista al quale appare "priva di senso la distinzione di un mondo fisico e di un mondo morale". Lui inventa l'universo in una versione semplice dove si possono reperire i motivi che ne costituiranno più tardi, fino a oggi, l'essenza unitaria, variata e resa più colorita dalle infinite reazioni umane.

Prima del Romanticismo e delle sue tempeste, prima di ogni moto coscientemente psicologico Jacques guarda la vita come "un gran nastro che si svolge poco a poco", in un ritmo calmo e, per così dire, naturale al quale non cercherà mai di opporsi. Pur tuttavia non va confuso con il semplicismo la sua perspicace lucidità di visione: è là che trovano risposte le 1000 e ancora 1000 domande di cui è fatto il personaggio del fatalista. Le domande possono essere sfumature – leggeri dubbi che contengono abissi di profondità – alle quali lui risponde con aforismi o paradossi. Ed è poi in una risata che Jacques acconsente, forse perché l'amaro non si senta nella sua voce. L'amaro della pura ragione? Jacques vive il senso profondo di un'esperienza compiuta – la storia del fatalista e l'ultima scritta dal vecchio Diderot – che arricchisce enormemente l'intera vita di un uomo, fatta di contrasti ed intimissimi dubbi proprio nel secolo che aveva voluto credere alla pura ragione.

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