Dall’Archivio Testi Emilio Tadini:
Per raccomandare di non perdere la mostra in corso a Roma fino al 31 luglio 2011: Gli irripetibili anni ’60. Un dialogo tra Roma e Milano. ( qui il link)
Emilio Tadini, Valerio Adami, cat. mostra (Il Naviglio, Milano, 17 – 26 ottobre 1959), Ed. Galleria del Naviglio, Milano, 1959
Molti
pittori italiani della generazione che ha lavorato prima della guerra e
subito dopo, avevano tra l’altro utilizzato lo choc espressionistico
per lesionare l’immagini cara al novecento – dove le sole deformazioni
concesse erano in fondo quelle che sembrava derivassero da una lunga
inerzia archeologica. Ma bisogona aggiungere che in pittori come
Morlotti e Guttuso, subito dopo la guerra, un certo fondo di
espressionismo doveva essere fatto risalire soprattutto a “Guernica”:
origine che portava con sé una ben più ampia disponibilità (e
aggressività) nei confronti del reale di quella concessa
dall’espressionismo puro. Poi il nuovo “realismo” fu la soluzione
imposta artificiosamente e accettata per pigrizia che portò a molti
pittori una fittizia tranquillità. Molti giovani dell’ultima
generazione, non a caso, intravidero la prima possibilità di riprendersi
in una ulteriore accentuazione dell’elemento espressionistico. Quei
giovani pittori si trovavano di fronte a un problema di fondo.
Nell’espressionismo è sostanzialmente un accanimento emotivo su una
forma figurale accettata di peso da una tradizionale convenzione visiva.
Il personaggio è fisiologicamente e intimamente un personaggio “dato”,
che viene deformato dall’esterno. La sua sostanza rimane intatta: se ne
altera soltanto la periferia. L’immagine è investita dall’emozione, non
ne è costituita. Questo ostinato lavoro di eccitazione superficiale è
proprio la ragione prima che ha paradossalmente portato un vasto settore
della pittura contemporanea a distruggere progressivamente ogni centro
dell’immagine e ad accumulare una serie di interventi esteriori fino
all’artificio. Questo è il terreno sul quale è risorta pesantemente
vittoriosa la materia astratta, oggetto e soggetto unico di un
misticismo sensuale e oratorio. Agli inizi de suo lavoro Adami è partito
da quell’espressionismo di cui parlavo ma nello sviluppo della sua
pittura non è caduto nella soluzione tachiste, nell’espressionismo
astratto. Adami si è reso conto che è necessario disintegrare
dall’interno la sostanza della vecchia convinzione visiva: e ricostruire
una nuova possibilità figurale. Egli si è reso conto che è necessario
realizzare una specie di fenomenicità dell’immagine: una sua vitalità
più effettiva, concreta in quanto dinamica. Dire che questo è del resto
l’atteggiamento più realmente rivoluzionario su cui si fonda la più vera
arte contemporanea: dal nuovo senso di presenza totale dell’oggetto nel
cubismo (ben oltre ogni apparenza di proiezione geometrica) a quella
vertiginosa molteplicità di significati che costituì nei casi più
autentici la “magia” surrealistica – per accennare soltanto alla
pittura. Questa complessità intellettuale è la conquista più importante
dell’arte contemporanea, occorre ripeterlo. E questo conta. Non la
mistica virulenza degli istinti, ora dilagante sotto le insegne di una
vitalità che è solo esagitazione formale. Non questo ottuso revival,
camuffato in mille aspetti, del più greve pittoricismo ottocentesco.
Adami lavora in quel filone della ricerca attuale che è più direttamente
inserito in una vera tradizione moderna. Nei suoi quadri l’immagine non
è più sottoposta ad un gioco di causa ed effetto inteso in un modo
superficialmente meccanico. Obbedisce piuttosto ad una più folta logica
di relazioni. Per una pittura come questa un oggetto figurale, un
personaggio, non è, non si adegua ad un suo simbolo riassuntivo sommario
e rigido, ad una sostanzialità astrattamente fuori del tempo: esiste
piuttosto, nel continuum delle sue concrezioni dentro il tempo (dentro
allo spazio) della sua storia. Queste che si dislocano sulle tele di
Adami non sono tanto le tracce inerti di un gesto raccontato: vogliono
piuttosto essere le rappresentazioni della complessità reale di un
fatto, di un personaggio, che esiste sono nella serie dei suoi gesti,
nel suo fare e farsi. Adami si sforza in sostanza di integrare una
immagine direttamente al residuo oggettivo del suo accadere. Per questo
egli cerca di rappresentare il muoversi di un personaggio in un azione –
in un atto – esprimendo visibilmente l’accumulazione degli ininterrotti
incontri tra quel movimento oggettivo e lo spazio; che è per la pittura
quello che il tempo è per la letteratura. E questo forse può servire ad
accennare un spiegazione di quel nucleo elementare che ritorna nelle
immagini di Adami: una specie di fascio organico preposto al movimento
esistenziale dei suoi personaggi. Il limite che alla distanza può porsi a
bloccare un operazione di questo tipo è evidente. Si può rischiare di
cadere in una registrazione analitica dei fatti atomici che “compongono”
un personaggio o i suoi gesti. Una rappresentazione, allora, che
rischierebbe di escludere la possibilità di un aggregato significativo.
La soluzione mi sembra possa essere nell’enucleare e nell’esprimere una
direzione, una finalità, organica: che dia a quel fluire un suo senso
direttamente connaturato. Credo che questo sia il problema che Adami sta
affrontando nei suoi quadri più recenti. EMILIO TADINI
- Per qualunque informazione sui testi e sulle opere di Emilio
Tadini: Archivio Eredi Tadini, contattando Francesco Tadini alla mail: ft@spaziotadini.it
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